martedì 24 marzo 2009

J. Terza parte

Non provavo nulla.
Sapevo che avrei dovuto essere gelosa, o felice per lui.
Forse non la consideravo come una rivale perchè abitava lontano e potevano vedersi poco? Forse ero semplicemente rassegnata?
In fondo sapevo di non aver nessun diritto nei suoi confronti. Anzi, ammetto che un po' ci speravo.
Forse sono solo una masochista, o forse significa che gli voglio davvero bene, ma anche adesso non posso fare altro che augurargli di innamorarsi di un'altra e di dimenticarmi, perchè stare con me causa solo problemi. Se non ero disposta a stare con lui non mi restava altro che lasciarlo andare, no?
Quando si mise con lei ero più perplessa che altro. Lui, con il suo modo impacciato, tirava avanti quella storia tra mille problemi, o almeno così mi diceva.
Mi dava sui nervi sentire quanto aveva speso per fare il weekend da lei. “Sei un idiota!”, pensavo.
Eppure un po' ero contenta di passare più tempo io con lui di quanto lei potesse. Trionfante dovrebbe essere l'aggettivo giusto.
La cosa che più mi dava sui nervi è che anche lei faceva il nostro stesso tipo di studi, quindi probabilmente si era avvicinata a lui solo per i suoi tratti stranieri. Perchè c'è questa idiozia di gruppo nella nostra facoltà? J non sarebbe assolutamente stato così popolare ad economia!
Eppure camminando al suo fianco in università, sentivo gli sguardi delle ragazze del primo anno su di lui. “cretine”, pensavo. E intanto loro pensavano a me come alla stronza che era riuscito ad accaparrarselo prima di loro.
Certo, ammetto che se non lo conoscessi così bene un certo fascino ce l'avrebbe pure. Alla fine non è brutto, e dato che suona ha questa immagine da rocker che fa impazzire le ragazzine. Però, quando penso a lui, mi vine in mente solo il J impacciato, stupido, disorganizzato, quello che prenderei a calci dalla mattina alla sera, quello a cui voglio bene ma non ho ancora capito se come un ragazzo o come un fratellino minore.
Quando mi ha detto che si erano lasciati, gli ho sorriso e gli ho detto “mi dispiace”.
Quando Sono stata lasciata io, lui invece era un po' più sconvolto.

domenica 15 marzo 2009

J. Parte seconda


Non so cosa lo spinse a farlo, ma un giorno J mi annunciò che mi doveva parlare.
Sono stata per tutto il tempo sulle spine immaginando fosse arrivato il momento della resa dei conti.
In effetti, nonostante non fosse mai successo nulla, tutti pensavano a noi come una coppia.
Lo seguii fino a una piazza, con il sole basso che tagliava l'orizzonte, proiettando ombre sugli edifici antichi. Intorno a noi gruppetti di bambini giocavano a rincorrersi e disegnavano per terra con i gessetti. Si sentiva l'odore lasciato da una bancarella di pesce fresco appena smontata.
Non era il tipico luogo in cui succede quello che immaginavo sarebbe successo.
Mi sedetti sul bordo di un pozzo chiuso al centro della piazza, cercando disperatamente un modo di sdrammatizzare la situazione, per sfuggire al suo sguardo deciso.
Mi disse che aveva intuito che qualcosa non andava tra me e il mio ragazzo. Che a furia di stare insieme aveva sviluppato un istinto di protezione nei miei confronti, una sorta di ossessione, per cui era geloso di ogni ragazzo che mi si avvicinava. Che ogni volta che ero al telefono con Lui, gli bolliva il sangue.
Sentirlo parlare di queste cose, con il suo modo di fare impacciato e il suo fortissimo accento dialettale, mi inteneriva: ero felice, ma allo stesso tempo ero spaventata.
Mi stava dicendo proprio quello di cui avevo paura. Il nostro rapporto doveva per forza cambiare? Non ero ancora pronta per fare una scelta definitiva, non sarei stata assolutamente in grado di lasciare Lui per J, senza che il nostro rapporto ne risentisse.
Avevo voglia di piangere, ma capivo che non potevamo andare avanti per sempre così.
Quel giorno in realtà non risolvemmo nulla. Io gli spiegai le mie ragioni e lui mi spiegò le sue.
Non c'era bisogno di una dichiarazione ufficiale per farci rendere conto di ciò che c'era tra di noi.
Lo sapevamo già entrambi, ed entrambi sapevamo che non era quello il momento giusto.


Poco tempo dopo, J si mise con un'altra.

venerdì 13 marzo 2009

J. Prima Parte

Quando ho aperto gli occhi, all'improvviso il suo odore era sparito.
Era sparito dai miei ricordi. Non sentivo più niente pensando a lui.
Avevo elaborato il lutto, ero finalmente disintossicata.

Non mi sarebbe più capitato di scoppiare a piangere mentre cercavo di infilare la chiave nella toppa?
Piangere per cosa, poi?
Ero libera, e i tramonti della mia nuova città mi avevano salvato.

La mia vita in quella cittadina antica era cominciata con la difficilissima scelta dell'università. Per me, che venivo da una sorta di metropoli, con la mia famiglia, gli amici e il mio ragazzo, trasferirmi in una città così piccola era stato abbastanza traumatico.
Eppure, adesso che la devo lasciare, mi manca come una seconda madre.
Non dimenticherò mai tutte le volte in cui mi sono persa, l'umidità gelida contro il viso la mattina, la luna sul mare, l'acqua torbida dei canali, i gabbiani alla luce grigia del mattino.
Non dimenticherò mai tutte le persone che ho incontrato, e le esperienze, buone e cattive, che ho vissuto in questi tre anni.

La mia vita universitaria è stata davvero strana. All'inizio mi sono ritrovata all'interno di un gruppo di dieci ragazze tre ragazzi. Era quasi comico il fatto che io, non abituata alle grandi compagnie, pensassi di riuscire a stare dietro a un gruppo del genere. Non riuscivo proprio a destreggiarmi in mezzo a tutte quelle donne! Inoltre, la sfortuna ha voluto che quei tre ragazzi abitassero vicino a casa mia...Così, ci vedevamo ogni sera, e con loro si era instaurato un rapporto speciale che alle altre non piaceva affatto. Poi, è arrivato il colpo di grazia.
Il miglior colpo di grazia che potesse arrivare, ma allo stesso tempo il peggiore.
Mi mancherà tantissimo.

Lui, J, è l'essere più rincoglionito di questo mondo. È stupido al punto da non capire l'ironia. Da chiedere il permesso prima di dare un bacio. Da non capire che desideravo che mi baciasse da un secolo. Eppure la sua gentilezza mi lascia senza difese. Mi è stato vicino nei momenti in cui avevo più bisogno di lui, ascoltandomi in silenzio. Mi ha difeso quando pensavo che nessuno fosse disposto a farlo. Se non ci fosse stato lui, probabilmente non avrei retto.
Quante volte sono stata sul punto di fare io la prima mossa, e coprire quella breve distanza tra le mie e le sue labbra prima che se ne potesse rendere conto. Ma non potevo.
Ero fidanzata, e stupidamente fedele a qualcosa che non c'era neanche più.
Per questo volevo che fosse lui a farlo, lo desideravo tantissimo. Lo guardavo negli occhi, sperando che cogliesse l'occasione, ma lui non si permetteva di farlo.
Probabilmente lo faceva per rispetto a me. Che ironia.

In giro per quella cittadina antica, eravamo solo io e lui, e parlavamo, parlavamo, senza rimanere mai a corto di parole.
Nonostante tutte le mie compagne di corso mi avessero voltato le spalle per colpa della gelosia o di stupide incomprensioni, non mi importava più. Erano tutte dietro a J, ed era divertente vedere come cercassero di colpirlo, instaurare qualcosa che le potesse avvicinare a lui più delle altre. E invece accanto a lui c'ero io.
Sarà stato perchè non notavo neanche la ragione che lo rendeva così appetibile agli occhi delle altre? Essere mezzo straniero in una facoltà di lingue era così incredibile?

Ci vedevamo quasi ogni giorno. Pranzavamo e cenavamo insieme. Mi faceva ridere e divertire come il mio ragazzo “lontano” non ne sarebbe mai stato capace. Era come se stessimo insieme, ma entrambi stavamo attenti a non sfiorarci nemmeno con un dito.

C'era una ridicola tensione tra di noi, che ci desideravamo ma non osavamo dirlo.

giovedì 12 marzo 2009

La fine e l'inizio

La fine di una storia ti lascia sempre spiazzata. Bene o male che andasse, devi rivisitare tutte le tue abitudini, tracciare una bella riga nera sul futuro che avevi immaginato e ricostruirne uno nuovo pezzo per pezzo.
Dopo un storia così lunga, ogni possibile futuro che tenti di ricostruire sembra cadere a pezzi come un castello fatto con i mattoncini di legno con cui giocavi all'asilo. Provi a vivere alla giornata, eppure continui a impilare inconsciamente i mattoncini. Guardi il tuo castello. Non ti piace, ti chiedi “ma cosa sto combinando?”.
Distruggi tutto e ricominci.

La mia storia inizia con la fine di un'altra.
Avevo 17 anni, era il mio primo amore, ed ero troppo piccola, stupida e sprovveduta, per capire che non faceva per me.
Per imparare la lezione ci ho messo ben cinque anni, due separazioni di cui una definitiva, e due mini-tradimenti da parte mia.
Era un tipo “serio”. I suoi amici erano “seri”. La sua vita era “seria”.
Ripensandoci adesso mi chiedo come io abbia fatto a sopportare tutta questa serietà. È come se la mia coscienza si fosse spenta durante quel tempo, per risvegliarsi all'improvviso quando ho capito di essere di nuovo da sola con me stessa. È stato un po' come se mi avessero imbottito di psicofarmaci per anni e avessero all'improvviso smesso di somministrarmeli. O come se fossi stata un'alcolizzata che si sveglia una mattina ed è stranamente sobria. Non c'è più birra in frigo. Sola e intontita dal mal di testa, vado alla finestra. L'aria fredda del mattino mi sfiora il viso, e sento odori che non avevo mai sentito perchè erano coperti da quello nauseante dell'alcool. Vedo le persone, gli alberi, il cielo.
Ecco come mi sento.
È una sensazione di libertà che all'inizio fa paura. Poi mi sono ricordata che prima di cadere nell'alcolismo, avevo degli amici. E giuro a me stessa: Niente più birra.
Proviamo con il vino.

E così tutto ha inizio con il mio risveglio.